Govardhan, una Scuola di Vita
Quest’anno ho voluto trascorrere le ferie estive offrendo servizio presso la Collina di Govardhan. Staccare per un po’ di tempo dalle attività della didattica e immergermi nel campo energetico di questo luogo speciale, in cui la presenza del Divino è così pervadente e percepibile.
Per la maggior parte del tempo mi sono impegnato nelle attività dell’orto che, in questa stagione, appare come un meraviglioso giardino fiorito. Patate, cavoli, zucchine, carote, cetrioli, pomodori, angurie, meloni, fagioli, fagiolini, zucche in arrivo, fragole dal sapore sorprendente, friggitelli, catalogna, okra, karela, e altro ancora.
Sono stato impegnato in operazioni semplici, come quella della raccolta. Ma a contatto stretto con la natura e con le sue dinamiche, ogni realtà per quanto apparentemente banale rivela la sua caratteristica miracolosa, ovvero superiore alle considerazioni tipiche della logica umana. È probabilmente per questo che oggi si tende a lasciare i bambini lontano dai campi: per impedirgli di sviluppare quella loro naturale propensione a cogliere il meraviglioso; per rinchiudere più facilmente la loro mente in una piccola scatola e renderla idonea alla completa manipolazione.
Il contatto con la terra e con i suoi frutti è parte integrante della rivoluzione non solo socio-culturale ed economica, ma pienamente olistica, di cui l’umanità ha urgente bisogno per risalire la china del pericolosissimo smarrimento in cui è precipitata.
Immergersi nelle piante di zucchine alle prime ore del mattino, alla ricerca dei frutti pronti per la raccolta, significa scoprire un mondo di vita pulsante: fiori “maschi” impollinatori e fiori “femmine” che danno energia alle zucchine; un brulicare di insetti ronzanti che, danzando inebriati da fiore a fiore, permettono l’impollinazione; frutti vigorosi che crescono e altri che non trovano le condizioni e deperiscono; alcuni di loro si sviluppano in maniera eccezionale e sono gli unici idonei alla raccolta dei semi per le prossime coltivazioni.
È il miracolo della vita che ti insegna ad essere parte di un sistema superiore che tutto include e regola; che ti insegna l’immenso valore del cibo di cui ci nutriamo, il quale è sempre dono ricevuto, per quante cure possiamo aver investito nel processo della sua produzione.
Il gesto che più mi ha colpito per la sua sacralità è stato quello della seminagione. Dopo aver predisposto il terreno, nutrito nei mesi scorsi con il migliore dei concimi naturali, lo stallatico, e dopo aver tracciato dieci lunghi solchi paralleli, ci siamo impegnati a seminare un legume tipico della cucina indiana: il mung dal. Accovacciato, versavo nel solco mucchietti di 5 o 6 grani a distanza di circa 20 centimetri l’uno dall’altro e li coprivo con pochi centimetri di terra, affidandoli a lei, alla luce e al calore del sole, all’acqua della piaggia e dell’irrigazione, a tutti gli elementi che avrebbero cooperato al loro nutrimento e alla loro crescita. Mi sono sentito padre. Posso capire che questa espressione risulti forse eccessiva per qualcuno, ma l’atto di seminare con cura e consapevolezza mi ha fatto comprendere come possa svilupparsi un’intesa così forte con le piante. Un’intesa che ho potuto riscontrare nei nostri collaboratori più esperti, nei cui cuori è maturata una comprensione e un affetto per questi preziosissimi esseri viventi che mi ispira a un comportamento di religioso rispetto nei loro confronti.
Pacciamare il terreno circostante, ovvero ricoprirlo di paglia per impedire alle erbe di crescere e per aiutare il terreno a mantenersi umido, è stato un gesto che ho compiuto con trasporto, con la mente volta al benessere dei semi e delle future piantine. Quando a lavoro compiuto, sotto il sole caldo di un mezzogiorno d’agosto, ho alzato lo sguardo a contemplare quanto avevamo realizzato, la bellezza onnipervadente si è manifestata dinnanzi ai miei occhi. La luce del sole riflessa sulla distesa dorata di paglia; la coreografia delle grandi foglie color smeraldo delle zucche che danzano al vento con sublime perfezione; l’alternarsi geometrico delle coltivazioni, avvolte da un’atmosfera sospesa che ricorda l’eternità; il canto degli uccelli e delle cicale; e tutt’intorno alberi svettanti che si stagliano sull’azzurro del cielo, ulivi, dolci colline. Un abbraccio immeritato che Dio mi ha concesso.
E ancora, tra le innumerevoli esperienze vissute in questi pochi giorni, il ristoro dalla sete e dalla fatica che si può trarre da una carota coltivata con Amore e raccolta sul momento, dal sapore così intenso, armonico e soddisfacente che potrebbe sostituire un pasto intero; oppure da un’anguria condivisa con i compagni d’avventura, non fresca come piace ai più ma calda tanto che sembra di nutrirsi di luce solare; o ancora da pomodori a malapena sciacquati, il cui sapore e la cui consistenza ci parlano di una storia antica di rispetto reciproco tra gli esseri, di sinergia, di leggi divine volte al bene di tutti.
Sono nato e cresciuto in città, ho dedicato tanto tempo allo studio, che è l’attività che più mi somiglia, ho dedicato gli ultimi sedici anni a una ricerca intensa della mia essenza spirituale fatta d’Amore. Quel che desidero testimoniare con questo breve scritto è che la più raffinata arte, teologia e mistica, ma anche la più rigorosa logica, ogni sapere è custodito nelle leggi di natura, e vivere a contatto e in armonica interrelazione con esse è fonte di profondo apprendimento. Un apprendimento che pochi percorsi di studio possono concedere.
Per me questo è uno dei significati più importanti del nostro progetto di Agricoltura Didattica ispirata all’Ayurveda. Un ringraziamento di cuore a tutti i responsabili e volontari, e a Marco Ferrini che con la sua visione e il suo infinito entusiasmo permette a tutti noi di contribuire a questa straordinaria missione.
Fabrizio Fittipaldi
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