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L'amico ulivo

Chi l’avrebbe mai detto che il corso di potatura degli ulivi avrebbe offerto spunti per le mie intense pratiche meditative? Chi l’avrebbe mai detto che avrebbe permesso di sviluppare importanti riflessioni sul modello ideale di leadership e sulle sue dannose degenerazioni? Ho scoperto una ricchezza e complessità sbalorditive per un umano urbanizzato, ignorante di quanta conoscenza sottile e sofisticata si celi nelle innumerevoli forme e dinamiche naturali.

Certo, ci dev’essere chi ha già assimilato queste conoscenze e te le trasmette con competenza e amore. Altrimenti non è possibile vedere oltre i limiti dei propri pregiudizi. Il pregiudizio, per esempio, di considerare un ramo di un albero identico a qualsiasi altro della stessa pianta. Conoscere, invece, significa differenziare, scorgere i dettagli in ciò che a prima vista appare indistinto.

Prima di questo corso pensavo che potare un ulivo, o qualsiasi altra pianta, significasse più o meno “accorciargli” i rami, in modo che il suo aspetto non apparisse troppo selvaggio. Una sorta di “messa in piega”, dunque. Invece una pianta, e un ulivo in particolare, è un sistema complesso caratterizzato da una specifica personalità. E potare significa interagire con questo sistema in maniera costruttiva e creativa per favorirne uno sviluppo positivo. Si tratta del principio di valorizzazione dell’altro, così caro e fondamentale alla tradizione della Bhakti Vaishnava e al percorso di realizzazione spirituale.

Per valorizzare qualcuno bisogna conoscerlo profondamente, conoscere il contesto in cui vive e le sue aspirazioni. Incrociando queste coordinate e intervenendo con competenza e benevolenza possiamo ottenere il risultato desiderato. Sempre che l’altro, il beneficato, si mostri aperto alla nostra offerta.

Cominciamo a parlare del contesto. Qualche decennio o qualche secolo fa, come ci insegna Mario, il nostro meraviglioso docente, il rapporto con l’agricoltura era diverso. La maggior parte delle persone viveva sulla terra e la raccolta delle olive, come tutte le altre attività stagionali, era un’attività comunitaria. Tante persone si riversavano nell’uliveto con lunghe scale e ottima predisposizione. Gli alberi potevano svettare verso l’alto e lì i rami erano raggiunti da persone esperte e dedicate.

Oggi la società si è trasformata. In pochi, pochissimi, troppo pochi vivono sulla terra e dei suoi frutti. Questa trasformazione ha avuto un impatto anche sulla potatura degli ulivi. Oggi si preferisce favorire i rami che si flettono verso il terreno e che siano facilmente raggiungibili dalle mani dell’uomo. Inoltre, per le stesse ragioni pratiche collegate alla raccolta delle olive, è raccomandato che una persona possa girare comodamente nello spazio interno tra i rami cadenti, al modo dei salici, e il tronco centrale. Ed ecco che la forma che l’uomo imprime all’ulivo è diversa.

Per uno storico come me questo dato è di grande interesse, ma non il più illuminante che ho acquisito. Ben più sorprendente è stato scoprire le dinamiche “socio-psicologiche” che regolano la vita di questa nobile pianta. Scoprire, per esempio, che ci sono dei rami definiti “maschi” e altri “femmine”. Che questi ultimi si flettono verso il basso e accolgono le preziose bacche mentre i primi svettano verso l’alto e permettono al nutrimento tratto dalla terra di ridistribuirsi a tutta la pianta.

Quel che più mi ha colpito è la necessità di individuare, tra i rami “maschi”, uno che svolga il ruolo di guida. È lui che, in particolare, ha la responsabilità di attrarre in nutrimento affinché tutti gli altri rami possano beneficarne. Come un leader autenticamente virtuoso, non agisce a proprio esclusivo beneficio. Al contrario, trae a sé quel che gli è necessario ma favorendo il prosperare dei suoi seguaci.

Altra osservazione estremamente istruttiva attiene a un’erronea potatura. In tal caso, quando si interviene senza queste raffinate conoscenze, oggigiorno sempre meno diffuse, diverse “guide” tendono a svilupparsi, entrando in conflitto tra loro, a detrimento di tutta la pianta e della sua produttività. Una dinamica che rappresenta emblematicamente quella di una società caotica, fondata sulla competizione piuttosto che sulla collaborazione.

Esiste un ordine delle cose (il dharma), secondo il quale tutto funziona nel migliore dei modi. Ma di questo ordine l’essere umano deve prendersi cura, affinché non venga alterato da principi entropici che tendono al caos. In quanto elemento della natura, all’essere umano è attribuita una speciale responsabilità: quella di contribuire attivamente e creativamente al ripristinarsi dell’ordine e al suo mantenimento.

Il ripristinarsi dell’ordine. Anche questo è stato un tema centrale del Corso e in particolare della sua parte pratica ed esperienziale. Gli ulivi su cui siamo intervenuti erano stati trascurati per più di dieci anni e si erano dunque sviluppati selvaggiamente. Inoltre, molti di loro non erano stati neanche ben impostati. Fin dall’inizio, infatti, bisogna imprimere al giovane albero una determinata forma, tracciando le linee di sviluppo secondo le quali si struttureranno il tronco e le sue branche. Recuperare tali cattive impostazioni è molto impegnativo quando la pianta, ormai adulta si è costituita in un solido tronco e in rami robusti. In tal caso, l’intervento di recupero può risultare anche drastico, nella prospettiva di una ottimizzazione di quel che c’è. Un processo di recupero che può essere calcolato anche nella misura di diversi anni.

Che ne pensate del valore pedagogico di questo insegnamento? L’importanza di offrire fin da subito ai nostri bambini una giusta scala valoriale che consentirà loro di crescere in piena salute psico-fisica; i danni che una cattiva educazione produce quando, nella fase adulta, ci si confronti coi disastrosi risultati della stessa; e, infine, la possibilità, nonostante tutto, di correggere, seppur a fatica e nel tempo, la propria personalità distorta. O almeno ottimizzare quanto di buono sia ancora disponibile e limitare i guasti. D’altronde l’anima, la nostra e quella degli ulivi, è sempre perfetta e incorruttibile. Per cui la speranza di un pieno successo è il motore principale di ogni vita incarnata.

Grazie a questo Corso ho scoperto un amico, tanti amici. Non solo tra i partecipanti e tra i docenti. Ma tra gli ulivi. Prendermi cura di loro quando giovanissimi e inermi sono soggetti a mille pericoli, come quello dei denti dei golosi camosci che vivono nei dintorni, mi ha permesso di sviluppare una sensibilità e un sentimento mai provato prima per una pianta. Una pianta che infine ricompensa il nostro affetto con una messe abbondante di squisito olio, ingrediente fondamentale per la nostra dieta e la nostra salute.

Sempre più la sinergia tra tutti gli esseri, nel grembo di Madre Terra, si affaccia alla mia consapevolezza grazie al servizio svolto presso la nostra collina di agricoltura didattica, ADAyur – Govardhan Italia, curata dalle mani amorevoli di persone straordinarie, intente a ripristinare l’ordine del bene in contrasto con il dilagante scompiglio della malvagità.

Fabrizio Fittipaldi

 

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