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Imparare a convivere

Spunti per un progetto didattico agricolo ed evolutivo

In linea col desiderio del Maestro e la volontà dei suoi discepoli e seguaci, il progetto ADAyur è prevalentemente volto alla didattica e all’educazione, ispirate ai principi della cultura vedica.

Durante un recente sopraluogo, effettuato il 15 gennaio scorso in compagnia di Mathureshvara Prabhu e Jivapati Prabhu, responsabili di diverse aree del progetto, ho riflettuto sull’opportunità di immaginare e realizzare un percorso didattico, ideale e geografico, il cui fine sia quello di concretamente ispirare a un rapporto armonico tra l’attività umana svolta all’interno della proprietà e l’ambiente naturale.

Questo presuppone stabilire, in fase di progettazione e ideazione della strategia di sviluppo della fattoria, a breve, medio e lungo periodo, i fondamenti dell’intervento umano su questo appezzamento di terra che desideriamo diventi esempio di armoniosa relazione tra umanità e risorse naturali, al fine di favorire il risveglio e l’espansione della consapevolezza spirituale di quante più persone sia possibile.

Si tratta pertanto di lavorare alla costruzione di un equilibrio ottimale tra le necessità umane e quelle degli altri innumerevoli esseri che popolano la collina Govardhan. Ciò comporta, a mio avviso, muoversi lungo la delicata e non sempre evidente linea mediana che corre tra lo sfruttamento utilitaristico delle risorse e l’inibente ideologia conservazionistica-naturalistica. Infatti, se da una parte è necessaria una relazione col territorio improntata al massimo rispetto per tutte le creature, alla sobrietà nell’uso delle risorse, alla conoscenza e al rispetto delle esigenze degli altri abitatori del luogo e delle relazioni che tra questi intercorrono; dall’altra è opportuno prendere atto dell’uso che per secoli da parte dell’uomo è stato fatto del territorio. Un uso non sempre sostenibile che lo ha segnato significativamente. Pertanto non progetteremo in vista di una rinaturalizzazione generalizzata verso il climax del luogo, bensì ci indirizzeremo verso un restauro ambientale agricolo e boschivo, con tecniche che ripristinino e/o conservino la salubrità e la fertilità del suolo, curando una nuova estetica della relazione tra natura e “colture” umane.

In base alle informazioni di prima e di seconda mano che ho potuto raccogliere fino ad oggi, la mia proposta può essere così sintetizzata. La zona boschiva d’alto fusto che si trova nell’area a nord ovest, caratterizzata dalla prevalenza di querce caducifoglia, seppur non ho avuto l’opportunità di visitarla personalmente, pare sia costituita da un bosco maturo, con grandi e vetusti alberi (in sanscrito vana-pati, ‘i signori della foresta’). Quest’area potrebbe dunque essere dedicata alla ricostituzione di una naturalità il più vicino possibile al climax della zona. Gli alberi d’alto fusto vanno, beninteso, conservati e valorizzati ovunque nella proprietà. Infatti a differenza degli animali, gli alberi, tanto più sono “anziani”, tanto più sono in grado di rivitalizzare la biodiversità e donare un microclima ideale. Sono preziosi e vanno protetti e, in alcuni casi, quando la mano dell’uomo è stata pesante, curati. Qui potrà essere raccolto legname al fine di mantenere ‘luce’ tra i patriarchi, preservando il bosco vetusto con un rinnovo lentissimo e programmato, in modo da tutelare la sua caratteristica d’alto fusto, mai ceduo.

Sarebbe una tappa importante del nostro itinerario agricolo-naturalistico, il quale si snoderebbe tra le cultivar di olivo e le antiche varietà di alberi da frutto e da guscio (avendo sia un versante meridionale che uno settentrionale, possiamo diversificare con successo le varietà e le specie), l’orto coltivato con sistemi innovativi (permacoltura) e ritmi stagionali, semenzai di utilità e di conservazione, piante officinali per gli olii ayurvedici, frutticoltura dei piccoli frutti di bosco come mirtilli e ribes, food forest ove possibile, diverse tipologie di bosco (per esempio il ceduo per la produzione più ravvicinata di legname e il bosco vetusto di cui abbiamo già parlato) e i seminativi delle piane settentrionali, vitali per l’economia della fattoria.

Infine c’è l’opportunità, da verificare in fase progettuale, di naturalizzare la zona umida, compresa tra la piana a nord est e le vecchie vigne più in alto. L’area è facilmente individuabile per la presenza di cannuccia palustre e pioppi. Con la creazione di piccoli chiari d’acqua tra le cannucce e al loro esterno, con il ripristino del fosso popolato da pioppi e querce, verificando la flora ripariale e la presenza animale, è possibile creare un interessante luogo di svernamento e riposo per i migratori, nonché un’area di “quiete” per tanti piccoli animali che non trovano più spazi adatti per vivere e riprodursi, come anfibi, uccelli, rettili, coleotteri e altri insetti, così come altri vertebrati e invertebrati da censire.
Questa interazione tra natura e attività agricola umana, improntata alla conoscenza e al rispetto, a mio avviso può essere propedeutica ad una seria disciplina interiore, non ideologizzata, concreta e collegata all’intera attività del nostro Centro Studi.

Graziano Rinaldi

venerdì 17, sabato 18 e domenica 19 marzo

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